Le due ruote sono state il mio primo vero inizio nel mondo della sala stampa e rappresentano una delle esperienze che più mi ha convinta a fare determinate scelte nella vita.

Renata Nosetto, all’epoca capo ufficio stampa del Motomondiale (quando suo marito Roberto era direttore di gara) nel 1996 aveva bisogno di persone fidate per mettere in piedi il suo staff durante il week end di gara. Mi conosceva fin da bambina: fu grazie a lei e suo marito che io e mio papà, grande amico per loro, entrammo per la prima volta ai box. Da Direttore di Imola, Nosetto arrivò dopo altri percorsi, al Motomondiale. Fu così che io potei entrare anche in quel mondo. Questa volta non da ragazzina in cerca di autografi, ma da ‘Assistente dal Capo ufficio stampa’. Per me, universitaria in cerca di una identità, era una qualifica importante. Ne andavo fiera e presi seriamente il lavoro. Chiamai a raccolta le amiche fidate (quelle degli anni del Paddock club per prime) e ci lanciammo nel mondo della sala stampa, dei giornalisti, delle fotocopie, delle conferenze e, finito di lavorare, anche delle feste nel paddock.

All’epoca il corpo box era a due piani, si accedeva dal paddock tramite scale esterne. La scala centrale era quella più vicina alla sala stampa, situata al primo piano. Si arrivava ad una passerella scoperta e da lì ad un angusto corridoio. Porte di ferro rosse delimitavano le stanze e le salette. I bagni avevano le turche e tra l’ufficio e la sala stampa esisteva un retro palco, se così si può chiamare, una specie di sgabuzzino, in cui lavoravano incessantemente le fotocopiatrici, il tecnico delle luci s soprattutto quello della SIP. I i telefoni, fissi, si dovevano collegare uno per uno alle postazioni, in base alle richieste dei giornalisti. Per inviare gli articoli al giornale o usavi il fax o staccavi il cavo del telefono, lo attaccavi al modem e inviavi tramite computer, certamente in maniera molto più lenta di oggi. Per accedere alle conferenze stampa, i piloti dovevano necessariamente passare dall’ufficio di Renata, che poi era anche il mio, in un angolino. La sala stampa era molto grande, semplice ma efficace. Tavolo per le conferenze con fondale della gara di turno, tavoli e soprattutto tante vetrate, che come tutto il corpo box, si affacciavano direttamente sui box. Erano inclinate, potevi vedere bene quello che succedeva sotto. Alla partenza tutti i giornalisti si assiepavano lì e guardavano la gara: dovete pensare che per seguire l’andamento della corsa avevano a disposizione i monitor dei cronometristi e poco altro. Anche io, alla partenza, mi rannicchiavo sotto una di quelle finestre e mi godevo l’adrenalina del semaforo verde.

In quegli anni era tutto più facile: dopo la gara il pilota arrivava da solo, senza il corteo di persone e personaggi che vediamo oggi. Fu così che venne scattata una foto per noi indimenticabile. Ecco il retroscena dietro questo scatto:  Valentino arrivò nell’ufficio di Renata, la salutò, lasciò guanti e casco lì sul suo tavolo e andò alla conferenza. Noi, forse annoiate o forse contagiate dalla simpatia di Vale, gli facemmo uno scherzo, nascondendo casco e guanti nei cassetti. Rossi ragazzino, alla fine della conferenza, tornò e cercò le sue cose. Piccola caccia al tesoro, lo prendevamo in giro dicendogli che non si lasciano le cose in giro e finì tutto con questa foto. Vale era già campione e c’è poco da fare, capita solo ai migliori. Chi lo ha conosciuto allora, riconosce oggi, dopo tutto quello che ha vinto e ha rappresentato per l’Italia e per il mondo dello sport, quel piccolo folletto che giocava e si divertiva con tutti.

In ogni caso dal Motomondiale del 1996 mi portai a casa una gran voglia di esserci, di prendermi il mio piccolo spazietto in quella bellissima storia dell’Autodromo. Da lì, non lasciai più l’ufficio stampa fino al 2006 e quel luogo, che non esiste più, rimane negli occhi di tutti coloro che ci sono passati, ne sono sicura, più di tanti in giro per il mondo. Perché Imola aveva ed ha qualcosa di magico, che non si dimentica.