Non so se dalla foto si percepisce la spensieratezza, la complicità, l’amicizia. Io la vedo ancora oggi, dopo così tanti anni. Eravamo nell’altro secolo, quello degli anni ’90, delle discoteche a Riccione e dei telefoni cellulari che ci servivano solo per metterci d’accordo e per vederci il sabato sera. Erano i GP del dopo Senna, della F1 che stava rinascendo, cambiando tutte quelle cose del passato che non andavano. Era la F1 di Ecclestone, con il paddock che sempre di più era ormai meta e rifugio di vip, più che di esperti di automobili e di corse. Noi, quelli della sala stampa, avevamo un grande privilegio: essere dentro a quel mondo, vedere tutto da vicino, vivere i momenti delle prove, della partenza, del podio, delle conferenze che erano svolte proprio in sala stampa. I giornalisti contavano: erano i piloti che arrivavano da noi, non il contrario come avviene oggi. Era tutto più verace, più immediato. Poteva succedere qualcosa di imprevisto, e accadeva spesso, con la corsa delle testate a chi avrebbe fatto uscire per primo la notizia, non come oggi che le news le troviamo al minuto zero su tutti i social. Portavo la rassegna stampa, cartacea ovviamente, ai team e nell’ufficio di Ecclestone tutte le mattine, facevamo più fotocopie che altro a quei tempi. C’era una sala solo per le fotocopiatrici, che funzionavano tutto i giorno: migliaia di fogli, che tristemente ritrovavamo la domenica sera nei cestini e sui tavoli delle oltre 600 postazioni di lavoro; sui tavoli dove c’erano anche i telefoni fissi e i modem, il wifi era ancora una chimera.

Ma noi eravamo felici, con il nostro panino secco da mangiare alle due di notte o alle quattro del pomeriggio. L’ennesima Red Bull conquistata corrompendo i team (beh, a quello ci pensava Marcello) e le avventure nel paddock e di notte in pit lane, quando i meccanici lavoravano ancora. Noi, con le nostre orribili ma riconoscibilissime camicie  gialle. Le chiacchiere con tutti, senza limiti di hospitality e di gerarchie.

Quel mondo stava però cambiando, stava pian piano assumendo sempre di più un altro aspetto, quello dei soldi, dell’esclusività, del ‘ci sei perchè conti qualcosa’.  Ma a noi, che tutti gli anni volevamo essere lì per staccare gli occhi dai libri, per divertirci più che lavorare, non importava sapere che un giorno la F1 sarebbe diventata quella di oggi. L’importante per noi è stato esserci.